Da “I
Quaderni del Portavoce” Come si Viveva – la storia autentica dei nostri
nonni di Carlo Valli
Le credenze e le leggende popolari sono espressioni di cultura di tempi ingenui. Il popolo sogna mentre vive una vita dura: è un modo per evadere, per trovare spiegazioni a fenomeni che l'ignoranza tiene nascosti; dà corpo alle ombre, voce alle cose, significati misteriosi a fenomeni naturali, poesia alle cose quotidiane, è religiosità che si corrompe nella superstizione, è gentilezza d'animo, è paura, gusto del mistero. Sono leggende dell'infanzia di tutta una popolazione. Sono racconti che riempivano le lunghe serate dei nostri nonni nella stalle o nelle veglie accanto ai camini ad attizzare la fiamma, mentre fuori d'inverno nevica a lungo o spiove contro i vetri delle case basse. Le leggende affondano l'origine in fatti storici gonfiati epicamente e ripensati al di là dei dati cronologici e dei personaggi storici. Il popolo non va molto per il sottile quando si tratta di critica storica godendo di diritti creativi di un proprio genere letterario in cui fantasia, emotività, mito meraviglioso, drammatico, patetico, pauroso, s'impastano liberamente. La storia si fa anche con le storie che rivelano l'animo più profondo, che vuole le sue fiabe ed i suoi pregiudizi. La natura parla all'ingenua, incolta e sognante anima dell'uomo. Gli astri, i fenomeni naturali, i boschi, la solitudine ed il silenzio, il buio danno spunto a tante credenze. Cassano, Cascine S. Pietro, i boschi che circondano l'Adda, le molte acque, i cascinali sparsi si popolano di fantasmi. Prendono nome il bosco dei morti, l'altro dei lupi e l'altro del convento. Se piove e c'è il sole si dice che "fa bügada la stria", se tuona si assicura che "al diaul al gioeuga ai bocc". Negli ultimi tre giorni di gennaio si racconta la leggenda della merla. Ascoltiamola: "Ai tempi in cui i merli vestivano di bianco, successe un inverno assai mite. Una merla fischiò sfidando il Gennaio, invitando la natura a rivestirsi di fiori. Ma gennaio si vendicò caricando gli ultimi tre giorni di freddo tale da indurre la merla a cercarsi rifugio in un camino tutto fuliggine. E diventò nera. Da allora questi tre giorni divennero i più rigidi dell'inverno". Anche la civetta era ritenuta annunciatrice di sventura per il suo canto lamentoso, come il gatto nero che attraversava la strada, perché si credeva che le streghe si trasformassero in gatti. C'erano inoltre animali favolosi come l'orco e il lupo che incutevano paura nei bambini. Numerose superstizioni hanno rallentato i movimenti dei nostri cassanesi: funerale di venerdì significava assicurarsi un altro morto in casa; l'interferire del suono di un'altra campana mentre quella dei morti suonava un'agonia era indice di un secondo lutto; la campana di S. Ambrogio, al cimitero, lamentosamente, suonava: "Vée che... Vée che... Vée che..." A Cassano, inoltre, i parrocchiani muoiono a tre a tre, i settimini portano fortuna, come i gobbi se sono maschi. Il castello, i sotterranei, i vecchi cascinali si pensava fossero scrigni di tesori nascosti. La religione era frequentemente coinvolta nelle credenze del popolo. Si faceva la croce sul pane prima di infornarlo perché non bruciasse; durante i temporali si radunavano i bambini a recitare il Credo e si stendevano i pannolini degli "innocenti" alla tempesta per farla cessare; si incrociavano legni ed arnesi di lavoro per lo stesso motivo; si suonavano le campane a scongiurare la grandine ed allontanare i demoni, il prete doveva "maledire il tempo", e guai a non farlo! Ne andava di mezzo la sua reputazione. Un buon parroco, tra le tante virtù, doveva essere anche bravo di "benedire il tempo", gli insetti dannosi e confinarli. La zingara era ritenuta un personaggio temibile perché poteva maledire e maleficiare. Si ricorreva al gioco delle carte ed alla lettura della mano per conoscere l'amore, interessi, gelosie, invidie, notizie di persone lontane, lunghezza della vita, malattie, il tempo e la forma della morte. Anche il gioco del tavolino era fatto per evocare le anime dei morti. Qualcuno affermava di aver avuto schiaffi durante le sedute spiritiche da presenze invisibili. Queste sedute erano soprattutto di moda in tempo di guerra per aver notizie di prigionieri o per i numeri del lotto Si raccontava di morti non completamente sepolti che riemergevano dalla tomba con una mano, un braccio o una gamba a chiedere suffragio o a restituire il mal tolto, renitenti alla sepoltura. C'era paura a passare di notte davanti al cimitero per non essere rincorsi da misteriose fiammelle sospese sulle tombe, richiamate dallo spostamento d'aria del viandante. Alcuni affermavano di aver assistito a macabre processioni di scheletri o almeno di aver avuto apparizioni notturne di defunti con spostamento di ciabatte e scarpe, risa stridule, pianti e lamenti, strascico di vesti. Si affermava che qualche casa fosse abitata da spiriti Appartenente alla categoria degli spiriti o demoni era il folletto "fulètt - farfarèl - fuen". Lo si immaginava piccolo, peloso, indefinibile nelle fattezze, coi corni, con occhi di brace, il volto malizioso, furbo, dispettoso, ladro. Sottraeva tutti gli oggetti ricercati, guastava gli strumenti di lavoro, arruffava matasse e gomitoli di lana, tirava le coperte del letto, tirava le gambe, spegneva il fuoco del camino, rovesciava pentole, buttava dal camino la fuliggine nei cibi, rideva divertito senza mostrarsi, scricchiolava i mobili e vibrava i vetri. Il "gambarossa" era il folletto meglio individuato. Appariva quando le donne si riunivano la sera tarda, magari all'insaputa dei mariti, per una merendina, divertendosi a contarsela. Nel più bello della festa, dall'alto, scendeva una calza rossa imbottita a spaventare l'assemblea, ed una voce misteriosa s'imponeva: Donn, donn indi in lècc ca l'è mèsanocc l'è san Pedar ca cumanda sa credi no, questa l'è la gamba Di streghe poi, tutta l'Europa era piena. Nel 1520 a Cassano se ne bruciarono tre sul greto dell'Adda, al Traversino, dopo un famoso processo. Ancor oggi tra noi rimane il detto "ma che strìa ca ta set..." riferito ad una donna intelligente, maliziosa e vivace, e l'altro: "ho vest la strìa", per indicare un momento di grande spavento. Le streghe erano immaginate come donne cattive investite di poteri magici. Avevano saghe sui monti o in grandi vallate, possedevano filtri, volavano a cavallo della scopa, si trasformavano in topi e gatti, abitavano nei boschi e nelle caverne, avevano il gusto del male. Di striati o maleficiati ce n'erano un po' dovunque. Erano segni di sicura stregoneria il ritrovamento di grovigli di capelli nei materassi e nei cuscini, nodi indissolubili di corda o di paglia, rosette di piume che si scioglievano disfacendo i cuscini e sostituendo medagliette sacre o cera della ceriola, immagini religiose o bruciando i segni del maleficio. Era questo il momento in cui riappariva alla porta la strega, richiamata irresistibilmente dal fuoco che esorcizzava le persone che emettevano dalla bocca bava, crine, spilli. Si dovevano bollire anche le fedi matrimoniali quando c'era di mezzo una stregatura d'amore. Per i bambini c'era il racconto dell'uomo nero e dell'orco che giravano di notte a rubare i bambini. Il primo girava con un gran sacco da carbonaio sulle spalle e l'altro era rappresentato come una bestiaccia pelosa, dalla bocca grande e sempre con una insaziata fame di carne umana, con una gran padella dove arrostire i bambini, che però erano tanto furbi da scappare dalle mani unghiate dell'orco proprio all'ultimo momento. Apparteneva alla specie degli spiriti buoni la fata. Alta, bellissima, vestita in azzurro, coi capelli lunghi e biondi sparsi sulle spalle, con un lungo vestito a lustrini, scarpine d'oro, bacchetta magica in mano per i miracoli delle trasformazioni luminose e di sogni realizzati, con caratteristico cappello a cono, amorosissima con i bambini, consolatrice di ogni lacrima e dispiacere: era il simbolo della bontà. Aveva capacità di apparire e scomparire ad ogni necessità, antagonista della strega. Dove passava lei seminava la gioia e la felicità. A Natale arrivava Gesù Bambino con San Giuseppe e la Madonna ed un grande carro di dolci e giocattoli per i bambini buoni. Per l'asinello, in ogni casa, i bambini preparavano un fascio di fieno, un po' di crusca ed un bicchiere d'acqua per il ristoro durante la sosta per scaricare i doni. Anche la Befana era un personaggio dei desideri infantili, perché portava i doni. Era rappresentata come una vecchia ricurva, col fazzoletto legato sotto il mento, naso aquilino, ossuta, mento all'in su, con la scopa e la gerla sulle spalle ricchissima di regali. Arrivava la notte dell'Epifania e volava sui tetti delle case per scendere dalla cappa dei camini a riempire la calza appesa al caminetto. Aveva sostituito i Re Magi. Ai bambini buoni portava regali, a quelli cattivi portava carboni, a quelli curiosi che incontrava svegli gettava cenere negli occhi.
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