Grazie alla segnalazione di Silvano Pirotta, direttore del Gruppo Archeologico Est Milanese, portiamo a vostra conoscenza dell'esistenza a Cassano d'Adda, nel 1837, di un coro "di voci bellissime ed accordate in modo angelico ...", il documento che attesta dell'esistenza di questo coro è: "Il Pirata" Giornale di letteratura, belle arti, invenzioni, teatri e varietà Anno II - Semestre II - N. 67 di Venerdì 17 febbraio 1837 Abbiamo estratto da questo documento la parte che ci riguarda. Ve l'abbiamo riproposta anche, sotto il documento stesso, in forma chiara e leggibile. |
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CORI DI CASSANO D’ADDA.Carissimo amico. Se tu passando da Cassano avessi a capitare in una delle
chiese di questo paese nel tempo delle funzioni pubbliche chiamato da
qualche dovere o da religiosa inspirazione, non istaresti a lungo
assorto ne' tuoi pensieri. Un concerto improvviso di voci bellissime ed
accordate in modo angelico innalzandosi dalla gente adunata, ti
chiamerebbe dalla tua fredda meditazione., ti scuoterebbe l'anima ed il
corpo, ti farebbe spuntar le lagrime agli occhi, ti ricingerebbe d’una
dolcezza ineffabile, ti aprirebbe il cuore : allora un’emozione, un
affetto arcano, unendoti alle persone circostanti, ti volgerebbero a Dio
in una contemplazione, in un'estasi che nessuno di questa terra potrebbe
dipingere, perchè la mano dell’uomo non può far cosa che sia
simultaneamente e musica e scultura e poesia e pittura, opera divina ed
umana. In tale rapimento si sciolgono tutte le idee d'egoismo : l’ira
perde il suo veleno : non si è più un essere che tutto assume in sé
innalzandosi sublime nel campo della più astratta meditazione come in
trono per giudicare a suo profitto dell'Universo, tentando di tutto
assorbirlo e dominarlo, non si è più quella potenza, che al dire di Fichte, in una superba concentrazione crea tutto il mondo esterno ed
interno, quasi per darsi uno spettacolo...; ma una forza che vuol unirsi
agli uomini non per una soddisfazione solipsica, ma per il bisogno di
amar Dio ed il prossimo, per la necessità di accordarsi cogli altri
cuori, per gettarsi in un solo sforzo nelle braccia del Signore,
parlargli , adorarlo in un impeto di sommo amore. Oh sapienti che
pretendete di analizzare con quel vostro gelato coltello anatomico tutte
le facoltà dell'intelletto e del cuore umano, ditemi come mai un
variato movimento d'aria può tanto sul nostro cuore da fargli sentire
tante dolcezze, da rapirlo in un altro mondo? Come succede questo
delirio? Mistero... mistero. Si sente e non si può delineare,
dipingere, analizzare. Oh musica! Oh
poesia! Che mai siete voi? Per me siete generatrici di sacro amore,
veicoli delle anime, arti che umanizzano gli esseri umani : siete i
mezzi per cui si opera la riconciliazione dell'uomo cogli uomini, degli
uomini con Dio : siete il linguaggio usato dalle anime quando
s'identificano per parlare con Dio. Per voi gli uomini diventano i veri
figli di Dio. Bene, disse Ballanche,
quando nella sua Palingenesi ha scritto: la
lyre dell’Orphée sera pour moi ce que fut la foudre pour Vico. Già da un mezzo secolo qui a Cassano per istituzione d'un
certo don Luigi Riva [1] morto da molti anni, quasi per tradizione si tengono istrutte
due compagniette di giovani d'ambi i sessi nella musica vocale, le quali
cantano in tutte le pubbliche funzioni, a più voci e a guisa di cori,
delle canzoni ed inni sacri. Questi cori sono tanto eccellenti, che la
prima volta che li ho uditi , mi sono sentito commovere , ed ho dovuto
piangere, non so per qual motivo, col pericolo di perdere il credito
presso una certa qualità di persone. Si distinguono in questi cori ogni
specie di voci, le quali poi sono d'una tale estensione e d'una tale
dolcezza, che sorprendono qualunque intelligente abbia la fortuna di
Udirle per la prima volta. Imperocché non ho durato fatica nei trovare
la cagione, per cui il celebre cantante Marchesi,
quando viveva ritirato ad Inzago nella novena del Natale, ogni sera, ed
anche qualche volta alla mattina, sì trovava nella chiesa maggiore di
questo paese. Un mio amico, che non mi tiene nascosto quanto succede nel
più intimo del suo cuore, un giorno mi diceva: « Quando sono
melanconico od in ira con qualcheduno, o mi raffreddo nell'amor dello
studio, assisto ad una pubblica funzione religiosa, ed il canto de'cori
Cassanesi mi rasserena l'animo, mi conforta lo spirito, mi scevra d'ogni
livore, mi riconduce al dovere. » Le ariette che si cantano da
questi cori sono diventate proprietà di tutti gli abitanti di questo
paese ed auco dei contorni : sono entrate nelle loro tradizioni,
radicate ne' loro cuori: e tu venendo qui in bella stagione le
sentiresti ripetere ne' campi, lungo le deliziose sponde dell'Adda, ne'
cortili, nelle piazze, nelle contrade, nelle case : ed io ho sentito con
sommo piacere delle ragazzette di tre o quattro anni cantarellarne
alcune attorno al fuoco, vicino alla loro mammina. Questo costume ha
aggiunto una bella qualità al socievole Cassanese qual si é uno
squisito gusto musicale, per cui sa parlare di belle voci, d'istrumenti
accordati , di musica d'ogni sorta,
senza aver avuto il bisogno di educarsi al Teatro della Scala, ai
giardini pubblici ed alla
piazza de' Mercanti. La bella istituzione del prete Riva che ha dato l’Adelaide Tosi [2] e la Brambilla [3], venne migliorata per consiglio dell'ottimo proposto Capredoni, il quale ha introdotto l'uso di far insegnare nelle scuole elementari ed ai cori d'ambi i sessi di questo paese, gl'inni ed i cantici della chiesa, volgarizzati dal Biava, alcuni de'quali sono messi in musica dal famoso Mayer. Mayer e Biava conoscono quali sieno i destini della musica e poesia popolare. Le melodie ed armonie di Mayer non son di quelle che commovono l'essere e lo riempiono di ansie voluttuose, lasciandolo poi, cessata la musica, illanguidito e vuoto; ma di quelle che toccano il cuore idealizzandolo, purificandolo e fortificandolo; illuminano la mente ed inspirano nell'anima quella fede che non si può definire, perché é un misterioso trasporto della creatura verso il Creatore , che l'uomo sente e non può tradurre colle parole. Mayer é il sommo Poeta, il vero Dante della musica sacra. Biava sa dare alle sue poesie una forza musicale: i suoi pensieri, anche quando sembrano oscuri, si vedono come dipinti, si sentono ed hanno una veste simpatica, morbida, brillante, e pronunciati, mandano un suono armonioso, carissimo. Se tu volessi, o amico, conoscere i vantaggi che possono produrre le poesie popolari sacre cantate, leggi la prefazione che sta in fronte alle melodie sacre volgarizzate dal Biava, di Michele Parma, di colui che vede molto addentro ne' pensieri del Ballanche. Ti
saluto di cuore.
Cassano d’ Adda, li 22 gennajo, 1837. Il tuo affezionatissimo amico Francesco Viganò [4] |
[1] Don Luigi Riva di Vailate lo troviamo nel 1807 come vicario a Cassano d'Adda. Nel 1808 lo troviamo come direttore della gioventù (di anni 50). Nel 1809 lo troviamo come confessore ed oratore, zelante per la gioventù, di condotta luminosa. Nel 1819 lo troviamo come nativo di Agnadello, organista (Quaderni del Portavoce n. 25 pag. 14). È rimasto a Cassano come vicario dal 1807 al 1819 come riportato sul “Dizionario Cassanese – Roba da ca’ nosta” di Carlo Valli (2010). [2] Tosi Adelaide, cantante lirica cassanese, proveniente da una distinta famiglia cassanese. I genitori erano i dazieri del porto. Adelaide fu allieva del Crescentini, esordì alla Scala di Milano, nel 1821, in Fedra di Mayr. Voce splendida cantò con successo sia in Italia che all'estero. Abbandonò precocemente la carriera in seguito al matrimonio con Conte Palli di Napoli. Vincenzo Bellini, invaghitosi di lei, nel 1826 a Genova aveva scritto nell'opera Bianca e Fernando, l'aria Crudele alle tue piante. Morì a Napoli il 27 marzo 1859. (Dizionario Cassanese – Roba da ca’ nosta” di Carlo Valli (2010). [3] A Cassano d'Adda di Brambilla cantanti in quel periodo ce ne sono state parecchie, le sorelle Brambilla e la nipote Tereina:
da: “Dizionario Cassanese – Roba da ca’ nosta” di Carlo Valli (2010)
[4]
Docente di origine cremasca venne a
insegnare al collegio di Cassano dal 1832 al 1834, fu amico di Carlo
Cattaneo e del Romagnoli. Ebbe anche l’incarico di Ragioniere revisore
della pretura. Nel 1839 scrisse un romanzo bizzarro dal titolo Battello
Sottomarino. Altre sue opere sono: La
vera carità per il popolo negli stabilimenti di pubblica beneficenza,
Il brigante di Marengo (1841), Studi teorici storici sulle principali
pubbliche banche e
La
fratellanza umana ossia la società di mutuo soccorso. Venne
ritenuto l’ispiratore delle Casse Rurali. (da
Il dizionario Cassanese “Roba da ca’ nosta” di Carlo Valli) (Merate (CO) 1807 - Milano 1891) Francesco Viganò, brianzolo, insegnante
di ragioneria negli istituti tecnici, simpatizzante mazziniano e
liberale, fu un fecondo pubblicista. Nel 1828, accusato di cospirazione, fu
esiliato dal governo austriaco. Passò la gioventù in Francia, Belgio
ed Inghilterra, subendo l'influenza del sansimonismo, del mazzinianesimo
e della massoneria. Rientrato in Italia, partecipò alle Cinque giornate
di Milano, e poi si occupò come insegnante di economia politica e
ragioneria presso l'istituto tecnico Cattaneo del capoluogo lombardo.
Memore delle preziose esperienze acquisite in Europa, Viganò non aveva
tardato, peraltro ad affiancare all'insegnamento un'intensa attività di
saggista. Autore poligrafo, aveva indirizzato gli sforzi soprattutto
alla divulgazione del nuovo verbo cooperativistico, nella convinzione
che la cooperazione fosse la "vera California" delle classi
operaie. Nel 1873 diede alle stampe il volume che
lo consacrò come uno dei pionieri della cooperazione italiana: La
fratellanza umana ossia le società di mutuo aiuto cooperazione e
partecipazione ed i municipi cooperativi. Il pregio dell'opera
consisteva non solo nella lucida esposizione dei principi
cooperativistici, ma anche nel fatto che essa teneva conto delle
esperienze europee maturate nel settore cooperativo. In particolare,
l'opera riferiva dell'esperienza inglese i cui principi erano serviti da
guida per la creazione dei magazzini di consumo in Italia. La concezione di Viganò si ispirava ai
valori della conciliazione, della pace sociale e della fratellanza
universale. La cooperazione, il cui principio fondante era appunto la
fratellanza, doveva rappresentare lo strumento per la realizzazione
della pace sociale e l'appianamento dei contrasti tra classi e ceti
sociali. Correttamente Viganò individuava nelle
società di "mutuo aiuto per soccorsi pecuniari in caso di
malattia, di mancanza di lavoro, di invalidità, di cucine economiche,
di collocamento, di previdenza, di credito, di miglioramento e
costruzione di case operaie" la primigenia forma di cooperazione.
Ad esse si erano sostituite, in un secondo momento, le associazioni
cooperative "veramente dette". L'elenco delle società cooperative
compilato dal Viganò è importante dal punto di vista della
documentazione storica e testimonia la potenziale diversificazione del
movimento cooperativo che poteva espandersi, ed in qualche misura lo
stava realmente facendo, in molteplici direzioni: dalle cooperative di
consumo alle società alimentari, dalle cooperative di approvvigionamento
a quelle di credito popolare, dalle cooperative di produzione e lavoro
alle cooperative edilizie. La cooperazione scriveva Viganò, era
"l'avvenire delle classi operaie", "l'avvenire della
società intera la quale comincia a ricostruirsi coscienziosamente,
liberamente, decisamente". Egli tuttavia non si limitò a
teorizzare la nuova forma associativa. Nel 1865 aveva incitato gli
operai della seta di Como, allora in difficoltà per la chiusura del
mercato austriaco, alla creazione di un magazzino di previdenza, sul
modello di quello creato in Inghilterra dai "Probi pionieri di
Rochdale". E dopo aver illustrato l'importanza delle cooperative di
approvvigionamento, definite come "consorzi di individui o società
comperano all'ingrosso per vendere a loro stessi, secondo propri
bisogni, a prezzi modici spartendo i profitti in ragione delle compere
degli individui soci o delle società alleate", ed aver additato ad
esempio quella costituitasi a Milano nel 1864, Viganò prendeva in
considerazione le cooperative di produzione e quelle di credito. Le
prime, assai diffuse specialmente in Francia, presupponevano la proprietà
dei capitali e lo sviluppo di particolari capacità imprenditoriali da
parte dei lavoratori; le seconde, il cui rafforzamento era legato alla
predisposizione al risparmio da parte dei ceti lavoratori, potevano
contribuire all'affermazione di iniziative artigiane e industriali dal
basso. Anche in tal caso Viganò non si limitò all'enunciazione dei
principi cooperativi, ma in collaborazione con Antonio Gentile, un
ragioniere comasco, operò nel 1868 per la creazione di una Banca
popolare a Como. Per approfondire: Cecilia Gricolato, Francesco Viganò
1807-1891, Como, Banca Briantea, 1985.
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