Questo cartello è posto davanti al monumentale
gelso di piazza Perrucchetti.
A cura dell'Amministrazione Comunale della città di Cassano d'Adda e del Gruppo Guide Cassano |
I cavalee di Rosetta - Maggio 2010 (in esclusiva per questa manifestazione) Tanti
ann fà in cà dal mè nonu, quant
l’era primavera ghera da fà al
post per i tauli di cavalee. Tiravan
‘l taul in un canton, ‘l
mangià ‘l favan soeul camen o
soeu ‘na machina a petroli soeu ‘n taulen. Po’,
‘l me nonu ‘l crumpava sti’ camulet in
una scatula i a purtava a cà; eran
negar, indurment e picinett, po’
i a metiva soeu ‘na taulèta e, ogni
tant, ‘l cambiava la grandèsa perché
i cavalee cresivan in lunghèsa. Dopu
‘l prem mees ‘l metiva i tauli grandi
e longhi, l’impiendiva la cà, tra
v’üna e l’oltra sa fava fadiga a pasà. Bagaj
e s’ciati insema ai mamm duevan
corr in di teree a
catà la foeujia di muron po’,
i a tajavan fen fen per
daga da mangià a sti’ cavalee ca
gha n’era maj asee. Dopu
un poo, eran diventaa gross, vurivan
poeu magià e
‘l mè nonu ‘l bosch ‘l ghaa prigiava cun
di bruchèj da lègn secch che
al müür ‘l pugiava. Luur
rampegavan soeu E
favan i galètt (tra ‘l gialt e l’aracion), sa
saravan dent e diventavan farfall. Quant
eran prunt, i s’ciati e i dònn duevan
cataj da sti’ brocch sècch, impiendivan
cesti o sacch e
i a vendivan a quej ca gheran in un'ala dal castèll, di
machinari aposta per
tirà gioò ‘l fiil da seda. Ma
‘l stranu da stà storia, l’è
che sti camulett inscé
broeutt e picinett fan
un fiil da seda presiuus, apresà
in toeutt ‘l munt!
AL
MURON di Marisa - Maggio
2010 Un
dé dopu l’oltar, urari cuntinuàa Nisoeugn
rigorda quand l’ha cuminciàa A
fa la sentinèla d’una piassa E
i suldaa purtavan elmu e curassa!
Che surpresa vidè amò
tanta gent
Lü, testimoni silensius d’ogni aveniment Un
tronco büus, ram fiurii, la
sua umbria
Moeuvan un queicoss, la
nostra nustalgia! “Suta
i mè brasc gh’eri tanti bagai Giügavan e vusavan,
l’era un piesè scultai! Dadrée
da me quanti baset rubàa Tanti
stori d’amur hoo vest incumincià”
Adèss per al muron un ann da gloria
Insemm al nost Cassan al passarà a la storia Malgradu
l’etàa al g’ha amò un bel aspett
visen da cà, da faciàda, al General Perrucchett.
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I bachi da seta vanno al bosco (maggio 1927) Collezione privata di Rosetta Ravasi per gentile concessione - vietata la copia anche se parziale senza l'autorizzazione del proprietario. |
Di
cavalee,
muron e galètt di
Maurizio Mandelli
Agli inizi di aprile, in
concomitanza con la prima vegetazione delle indispensabili foglie di muron
(Morus Alba), le famiglie contadine compravano dal
consorzio di Inzago üna
o do onš Se la stagione era ancora fredda sa
‘mpisava ‘l camen e qualche volta si mettevano persino suta ‘l prepunten per non correre rischi. Fin
dall’arrivo in casa dei cavalee,
cominciava la schiavitù per
le donne della casa (sì perché l’allevamento dei bachi era
un’attività che coinvolgeva solo la componente femminile, o al
massimo infantile, della famiglia, relegando gli uomini solo ad alcuni
compiti marginali di bassa manovalanza) Appena arrivate le larve,
dicevamo, i s’ciatèli
ga triavan gió la foeuia
da muron fina fina cumè l’erburen, perché le
larve erano veramente piccole e faticavano a mangiare. Ma
dopo la prima
durmida (prima delle quattro metamorfosi
cui è soggetto il baco) l’appetito cominciava a farsi
vigoroso e i cavalee
mangiavan a cuater ganass. Ed erano anche schizzinosi,
volevano la foglia fresca
ma bèla sucia
e non mangiavano il picciolo e le nervature che lasciavano indietro. E
quindi era un bel daffare per i s’ciatèli
dopu la scöla:
con un
scalett si arrampicavano sui muron per recuperare i broch
che poi portavano suta ‘l portich per mundai, sügai e netai.
I
cavalee
una volta cresciuti erano
sistemati sulla scalera,
uno scaffale addossato alla parete della cucina, i cui ripiani
erano formati da graticci di
canne su cui vivevano i bachi. Il
lavoro costante delle ragazze consisteva nel dar da mangiare alle
larve, più e più volte al giorno, e anche a tègni
riguláa, cioè ripulire gli scarti, cambiare le lettiere
ed eliminare il minuscolo, ma abbondante, roeu.
Non
lasciatevi ingannare, era un
lavoraccio perché secondo un calcolo fatto dal Museo del Baco
di Vittorio Veneto un’oncia di uova (circa
30 grammi) per portare a maturazione
70-80 kg di bozzoli aveva bisogno di circa 1000
kg (mille chili) di foglie di gelso! E
poi la spüssa,
quella organica del roeu
e quella prodotta dai marsciuni,
larve che andavano male e che non avrebbero fatto il bozzolo. La cosa
più comune era di portare
fuori il tavolo e mangiare suta
‘l portich. Qualcuno, un
po’ più industrializzato, all’ultimo stadio della larva,
quando i cavalee erano
grandi un dito, trasferiva la
scalera suta
‘l casott, ma i ricordi della mia famiglia me li
segnalano rigorosamente in casa. Dopo
l’öltima
durmida i cavalee eran maröd e quindi pronti per andare a
tessere il bozzolo nel bosch che veniva loro preparato. Il
bosch
era un intreccio di
broch, bruchett
o anche steli di rausción,
con la forma di un cono rovesciato e preparati con il semplice scopo
di fornire alla larva un punto sicuro di ancoraggio per il
lavoro di filatura del bozzolo e che veniva piazzato su ogni ripiano
della scalera.
Finalmente
il lavoro era terminato e si poteva godere dei frutti di tanto lavoro,
cioè catà
i galètt, come venivano chiamati i cavalee
allo stadio di pupa. Bellissimo
termine proprio del cassanese che è diventato nella lingua
specialmente delle cascine sinonimo di
fare soldi a palate. La
mamma tirava fuori ‘l
lensö da dota, candido ed immacolato perché
i bozzoli restassero perfetti e venissero scartati il meno
possibile. Il consorzio comprava solo bozzoli senza difetti. Quelli
così così venivano riportati a casa dove, di nuovo, il lavoro
di tusann
trasformava questi scarti in magliette e camicie di seta ad uso della
famiglia. La zia Esterina, bambina prima
della guerra, si ricorda molto bene delle scottature prese per tirá
‘l fil in da l’acua buienta che filava cun la machinèta
che poi con le
sorelle e le cugine instancabilmente confezionava
coi
goeuch. In
molte famiglie cassanesi sentirete dire con orgoglio la mia mama l’ha ciapá anca ‘l premi e nella maggior parte
dei casi è vero perché le
autorità sostenevano con attenzione questa industria domestica che apportava benefici sia all’economia dei contadini che a quella nazionale. Per
avere diritto al premio
bisognava non aver prodotto perdite e scarti eccessivi durante la
coltivazione e rientrare nei parametri che stabiliva il consorzio: tanti onš La zia Emma mi ha raccontato del premio ricevuto dalla
sua famiglia: lei, vestita da Piccola
Italiana, e la mamma, furono ricevute dalle autorità
nell’ala del castello dove c’era la Casa del fascio e venne regalato alla mamma un
foulard di seta con il ritratto del Duce, e alla bambina una maglietta
di seta più una modesta somma di denaro. Tutto
qui, piccole soddisfazioni
extra che andavano a sommarsi alla
vera grande soddisfazione del contadino della prima metà del
novecento: di aver sbarcato per un anno ancora il lunario e di poter
aspettare S. Martino senza eccessivi patemi d’animo. Queste memorie le ho raccolte dalla mia amata nonna, la Maria Signurèla che l’era dal tri e dalle mie zie Emma ed Esterina che prima da la guerra ann faa in temp a fann na pell cunt cavalee, galètt e muron.
A
nome loro vi ringrazio.
maurizio.mandelli@alice.it
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fotografia di Marino Nicola
nella fotografia a sinistra Colombo Marisa, in centro Maurizio Mandelli ed a destra Rosetta Ravasi
la prof.ssa Piera De Maestri illustra le varie metamorfosi del baco da seta
fotografia di Marino Nicola
La farfalla dalle uova d'oro di Piera De Maestri
fig. 473 maschio - fig. 474 la femmina - fig. 475 bruco - fig. 476 bozzolo - fig. 477 pupa fotografia prelevata da: wikipedia - di pubblico dominio - copyright scaduto Ecco la protagonista della nostra serata: la farfalla dalle uova d’ oro, il Bombix Mori. E’ una farfalla che non esiste in natura, ma solo in allevamenti organizzati dall’ uomo. La
prima testimonianza sicura sull’ allevamento del baco da seta, risale
al Le coppie di farfalle immortalate in queste immagini, fanno parte del mio piccolo allevamento amatoriale e le riprese sono state effettuate circa una settimana fa.
fotografia di P. De Maestri
Queste
falene, non sono certo farfalle colorate ed aggraziate. Hanno un corpo
tozzo e peloso, un’ apertura alare di circa Queste
farfalle vivono quindi pochi giorni solo per accoppiarsi e deporre delle
preziosissime uova che hanno fatto la fortuna di antichi imperi. Ad
intervalli regolari, la femmina è in grado di deporre da Proprio in questi giorni, le farfalle hanno deposto centinaia e centinaia di uova: il semebaco è una sferetta di un millimetro di diametro, per averne un grammo occorrono 1700-1900 uova. Un tempo a ciascuna famiglia contadina che praticava l’ allevamento del baco da seta, veniva distribuita un’ oncia di uova, che corrispondeva ad un ditale colmo di semebaco (30 grammi=40.000-60.00 uova). La scelta della quantità del seme, dipendeva dal numero dei componenti della famiglia, dal posto disponibile e dalla sicurezza di avere foglia di gelso a sufficienza per il loro nutrimento. Appena deposte, le uova sono bianche-giallognole, per poi assumere un colore bluastro che conserveranno per tutto il lungo periodo di inerzia, fino alla loro schiusa. Conservate in una scatola a temperatura ambiente, per una sorta di orologio biologico interno, le prime uova si schiudono sempre attorno al 10 aprile.
larve
Alla
nascita il bruco è nero, peloso, lungo Voracissimo di tenere foglie di gelso, crescendo assume una colorazione biancastra. Prima di impuparsi e di costruire attorno a sé il bozzolo, subisce 4 mute; il nostro baco, come i serpenti, si libera dalla vecchia pelle rinsecchita e al termine del suo sviluppo pesa 8000 volte in più rispetto alla nascita ed il suo volume è circa 6000 volte maggiore.
fotografia P. De Maestri
fotografia P. De Maestri
fotografia P. De Maestri
fotografie P. De Maestri
Circa 6 settimane dopo la schiusa, a sviluppo completo, il baco smette di alimentarsi, espelle liquidi per liberarsi dal contenuto intestinale, assume un colore giallastro trasparente e le due ghiandole della seta raggiungono il peso di 460 mg. I bachi da seta hanno un paio di ghiandole salivari modificate, chiamate ghiandole della seta, che secernono un fluido limpido e viscoso, secreto in forma di filo, attraverso aperture situate nell’ apparato boccale e chiamate filiere. Il diametro di queste aperture determina lo spessore del filo di seta prodotto, che non appena entra in contatto con l’ aria s’ indurisce, producendo il bozzolo. A questo punto, l’ obiettivo del nostro baco, non è più quello di nutrirsi, ma di trovare un punto adatto per ancorarsi e cominciare la costruzione del bozzolo che sarà completo dopo 3 giorni.
fotografia P. De Maestri
Il
filo che lo compone supera Dopo circa 10 giorni, grazie all’ emissione di un liquido fortemente corrosivo capace di forare la complessa e resistente struttura del bozzolo, avviene la fuoriuscita della farfalla adulta che vivrà una settimana circa.
fotografia P. De Maestri
Negli allevamenti, tuttavia, questo processo viene interrotto artificialmente, poiché le falene uscendo dal bozzolo, producono lacerazioni che riducono il valore commerciale della seta. Pertanto, la maggior parte dei bachi viene uccisa con il calore (per immersione in acqua bollente o per essiccamento in forno) e le uniche falene che vengono fatte sfarfallare sono quelle strettamente necessarie alla perpetuazione della specie. Si
conclude così in 50 giorni circa, la frenetica, affascinante,
misteriosa vita e metamorfosi del baco da seta del quale (per
produrre circa
Il
gelso Dopo la farfalla dalle uova d’ oro, il gelso o albero della seta, le cui foglie sono l’ unico nutrimento del prezioso insetto, è il coprotagonista della nostra serata. Con il nome di gelso si indicano due specie arboree – il Morus nigra e il Morus alba – provenienti dall’ Asia centrale. In Italia furono i Romani che, apprezzando la gradevolezza delle more, lo importarono e per distinguerlo dal rovo, gli diedero il nome di Morus celsa (excelsa), da cui sarebbe derivato il nome gelso.
il gelso monumentale di Cassano d'Adda - fotografia di R. Siesa
La diffusione del gelso e in particolare del gelso bianco, che meglio si presta all’allevamento del baco da seta per la morbidezza delle sue foglie, è progredita di pari passo con la diffusione dell’allevamento del baco. Nel 1471, il duca di Milano Ludovico Sforza emanò un editto che imponeva ai contadini di coltivare, nel proprio terreno, almeno 5 gelsi per ogni 10 pertiche. Ciò gli avvalse l’appellativo di “Il moro”, da morone, termine dialettale in uso per indicare il gelso. Nei secoli successivi la diffusione dei gelsi fu a tal punto rilevante, da diventare la caratteristica fondamentale del paesaggio rurale milanese. Della
coltura dei bozzoli a Cassano, restano due testimonianze. La prima è un
camino sul castello, proprio dove c’ era, fino al 1915 un setificio
che costituiva per Cassano la terza risorsa economica industriale dopo
quella del Linificio e della Fabbrica della ceramica e la seconda si
trova proprio in questa piazza: si tratta di un
monumentale esemplare di Morus Alba piantumato alla fine del
‘600. Merita tutto il nostro rispetto ed ammirazione, poiché si
tratta di un sopravissuto, pensate che dal catasto teresiano, durante la
dominazione austriaca, nel
il castello di Cassano d'Adda - sede fino al 1915 di un setificio - fotografia di R. Siesa
Da
una dettagliata ed approfondita analisi con tomografo ad impulsi sonori
per valutare lo stato interno del nostro gelso, è emerso che la pianta
ha un diametro di Il tronco dell’ albero presenta una pericolosa cavità occupante circa l’ 80% della sezione portante.
il tronco del monumentale gelso - fotografia di R. Siesa
particolari del tronco del gelso dove si evidenziano gli interventi di sostegno - fotografia di R. Siesa
Le ramificazioni principali sono 5 ed a loro volta presentano ampie cavità interne in grado di indebolirne fortemente la tenuta meccanica. Sono stati posti 3 sostegni metallici e delle catene con funzioni di sostegno. Anche quest’ anno è stata effettuata una decisa potatura per ridurre l’ effetto vela della chioma e i carichi sul fusto, in modo da far affrontare alla pianta la vecchiaia in forma più compatta.
filatura manuale della seta. Cassano d’Adda 21 settembre 2010 a cura del Gruppo Guide Cassano Il contenuto di questa pagina, è di esclusiva proprietà del Gruppo Guide Cassano e non può essere, copiato o riprodotto, anche se parzialmente, senza il consenso del Gruppo Guide Cassano |
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