Manzoni testimonia il "Vero"

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VERSO CASSANO

Il povero Renzo, dopo essersi messo nei guai a Milano, rischia di essere arrestato ma riesce a fuggire e pensa di recarsi nel territorio di Bergamo, che fa parte della Repubblica veneta, dove ha un cugino che lo aveva ripetutamente invitato ad andare da lui a lavorare.
Il giovane chiede qualche indicazione sulla strada da prendere e si trova presto nella zona in cui è stato il giorno prima, rivede il forno delle grucce, arriva a Porta Orientale ed esce dalla città col batticuore, ma apparentemente tranquillo, per non insospettire le guardie si avvia nella direzione di Bergamo, seguendo i viottoli di campagna. Poiché non si fida più a chiedere la strada, allunga di parecchio il suo cammino e finalmente giunge a Gorgonzola, a sei miglia circa dall’Adda.
La meta di Renzo è il fiume perché egli sa che questo divide il territorio di Milano da quello della Repubblica veneta.
A Gorgonzola entra in un’osteria precisando che ha solo bisogno di mangiare, timoroso di sentirsi chiedere il nome. Mentre mangia ascolta i discorsi degli abituali clienti che parlano soprattutto dei fatti avvenuti a Milano.
“Vi prego di far presto”, soggiunse “perché ho bisogno di rimettermi subito in istrada”.
E questo lo disse perché non solo era vero, ma anche per paura che l’oste, immaginandosi che volesse dormir lì, non gli uscisse fuori a domandar del nome e del cognome, e donde veniva, e per che negozio … Alla larga!
L’oste rispose a Renzo, che sarebbe servito; e questo si mise a sedere in fondo della tavola, vicino all’uscio: il posto de’ vergognosi.
C’erano in quella stanza alcuni sfaccendati del paese … Un di coloro si staccò dalla brigata, s’accostò al soprarrivato, e gli domandò se veniva da Milano.
“Io?” disse Renzo sorpreso, per prender tempo a rispondere. “Voi, se la domanda è lecita”
Renzo, tentennando il capo, stringendo le labbra, e facendone uscire un suono inarticolato, disse:
“Milano, da quel che ho sentito dire ... non dev’essere un luogo da andarci in questi momenti, meno che per una gran necessità”. “Continua dunque anche oggi il fracasso?” domandò con più istanza, il curioso.
“Bisognerebbe esser là, per saperlo”, disse Renzo.
“Ma voi, non venite da Milano?”
“Vengo da Liscate”, rispose lesto il giovine che intanto aveva pensata la sua risposta …
“Oh!” disse l’amico; come se volesse dire: faresti meglio a venir da Milano, ma pazienza!
“E a Liscate”, soggiunse, “non si sapeva niente di Milano?” “Potrebb’essere benissimo che qualcheduno là sapesse qualche cosa”, rispose il montanaro: “ma io non ho sentito dir nulla”.
E queste parole le proferì in quella maniera particolare che par che voglia dire: ho finito. Il curioso ritornò al suo posto, e, un momento dopo, l’oste venne a mettere in tavola.
“Quanto c’è di qui all’Adda?” gli disse Renzo, mezzo tra’ denti, con fare da addormentato, che gli abbiamo visto qualche altra volta.
“All’Adda, per passare?” disse l’oste.
“Cioè ... sì ... all’Adda”.
“Volete passare dal ponte di Cassano, o sulla chiatta di Canonica?”
“Dove si sia ... domando così per curiosità”.
“Eh, volevo dire, perché quelli sono i luoghi dove passano i galantuomini, la gente che può dar conto di sé”.
“Va bene: e quanto c’è?”
“Fate conto che, tanto a un luogo, come all’altro, poco più, poco meno, ci sarà sei miglia”.
“Sei miglia! Non credevo tanto”, disse Renzo. “E già” riprese poi, con un’aria d’indifferenza, portata fino all’affettazione, “e già, chi avesse bisogno di prendere una scorciatoia, ci saranno altri luoghi da poter passare?”
“Ce n’è sicuro”, rispose l’oste, ficcandogli in viso due occhi pieni di una curiosità maliziosa.
 …..A questo punto, l’oste, ch’era stato anche lui a sentire, andò verso l’altra cima della tavola, per veder cosa faceva quel forestiero. Renzo colse l’occasione, chiamò l’oste con un cenno, gli chiese il conto, lo saldò senza tirare, quantunque l’acque fossero molto basse; e, senza far altri discorsi, andò diritto all’uscio, passò la soglia, e, a guida della Provvidenza, s’incamminò dalla parte opposta a quella per cui era venuto.
LA NOTTE NEL BOSCO

 
Uscito dall’osteria, Renzo lascia Gorgonzola mentre suona la mezzanotte. Nella sua mente si agitano mille pensieri; lo spaventa, soprattutto, la certezza di essere ricercato come uno dei capi della rivolta di Milano. Cammina per sentieri deserti, attraversa piccoli centri abitati dove tutti dormono, tranne i cani, che abbaiano al suo passaggio. Il povero Renzo è solo, stanco, pieno di guai ma continua a camminare.
 
Seguitando ad andare avanti, e allungano il passo, con più impazienza che voglia, cominciò a vedere tra le macchie qualche albero sparso; e andando ancora, sempre per lo stesso sentiero, s’accorse d’entrare in un bosco: Provava un certo ribrezzo a inoltrarvisi; ma lo vinse, e contro voglia andò avanti; ma più che s’inoltrava, più il ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane, deformi, mostruose, l’annoiava l’ombra delle cime leggermente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso scroscia delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva per il suo orecchio un non so che d’odioso. Le gambe provavano come una smania, un impulso di corsa, e nello stesso tempo pareva che durassero fatica a regger la persona (….)
 
Ormai Renzo, atterrito, più che d’ogni altra cosa, del suo stesso terrore, si ferma, poiché sta per cedere e tornare indietro.
 
E stando così fermo, sospeso il fruscio dei piedi nel fogliame, tutto tacendo d’intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorio, un mormorio d’acqua corrente. Sta in orecchi, n’è certo; esclama: “è l’Adda!” Fu il ritrovamento di un amico, d’un fratello, d’un salvatore. La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer libero e tiepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de’ pensieri, e svanire in gran parte quell’incertezza e gravità delle cose; e non esitò e internarsi sempre più nel bosco, dietro quell’amico rumore (…)
Dopo aver raggiunto la riva del fiume e aver visto, poco lontano, la sua meta: la città di Bergamo, Renzo si accinge a trascorrere la notte in un capanno abbandonato.
Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato, vi s'inginocchiò, a ringraziarla di quel benefizio, e di tutta l'assistenza che aveva avuta da essa, in quella terribile giornata. Disse poi le sue solite divozioni; e per di più chiese perdono a Domineddio di non averle dette la sera avanti; anzi, per dir le sue parole, d’esser andato a dormire come un cane, e peggio.
Renzo, infatti a Milano si era ubriacato, e a causa di quel che aveva fatto e detto aveva rischiato di venir arrestato come uno dei capi della sommossa. Le terribili vicende degli ultimi giorni gli tornavano in mente, e il giovane si rigira nella paglia e non riesce a dormire. E il narratore commenta:
Che notte, povero Renzo! Quella che doveva esser la quinta notte delle sue nozze! Che stanza! Che letto matrimoniale! E dopo qual giornata! E per arrivare a qual domani, a qual serie di giorni! - Quel che Dio vuole - rispondeva ai pensieri che gli davan più noia: - quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c’è anche per noi. Vada tutto in isconto de’ miei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo!” -
Tra questi pensieri. e disperando ormai d’attaccar sonno, e facendosegli il freddo sentir sempre più, a segno ch’era costretto ogni tanto a tremar e a battere i denti, sospirava la venuta del giorno, e misurava con impazienza il lento scorrere delle ore. Dico misurava, perché, ogni mezz’ora, sentiva in quel vasto silenzio, rimbombare i tocchi di un orologio: m’immagino che dovesse essere quello di Trezzo. E la prima volta che gli ferì gli orecchi quello scocco, così inaspettato, senza che potesse avere alcuna idea del luogo donde venisse, gli fece un senso misterioso e solenne, come d’un avvertimento che venisse da persona non vista, con una voce sconosciuta.
Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici tocchi, ch’era l’ora disegnata da Renzo per levarsi, s’alzò mezzo intirizzito, si mise inginocchioni, disse, e con più fervore del solito, le divozioni della mattina, si rizzò, si stirò in ungo e in largo, scosse la vita e le spalle, come per mettere insieme tutte le membra, che ognuno pareva che facesse da sé, soffiò in una mano, poi nell’altra, se le stropicciò, aprì l’uscio della capanna; e, per la prima cosa, diede un’occhiata in qua e in là, per veder se c’era nessuno. E non vedendo nessuno, cercò con l’occhio il sentiero della sera avanti; lo riconobbe subito, e prese per quello.
 
Il cielo: un altro brano stupendo, in cui il paesaggio prende il colore dell’anima dell’autore e i dati fisici si trasformano in puri elementi di poesia, senza nulla perdere del loro vigore. Non solo la lettera, ma lo spirito del paesaggio lombardo è qui colto, con una penetrazione così profonda da ingenerare un senso di struggimento nel lettore più avvertito: le albe e i tramonti ricorrono, gli uomini passano, ed a pochissimi è concesso il dono supremo di lasciare qualche segno del loro passaggio.
 
Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un canto, pallida e senza raggio, pure spiccava nel campo immenso d’un bigio ceruleo, che, giù giù verso l’oriente, s’andava sfumando leggermente in un giallo roseo Più giù, all’orizzonte, si stendevano, a lunghe falde ineguali, poche nuvole, tra l’azzurro e il bruno, le più basse orlate al di sotto d’una striscia quasi di fuoco, che di mano in mano si faceva più viva e tagliente: da mezzogiorno, altre nuvole raccolte insieme, leggieri e soffici, per dir così, s’andava lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quand'è bello, così splendido, così in pace.
 
Renzo giunge all’Adda, che segna il confine tra lo stato di Milano e quello di Venezia, e passa il fiume al mattino, dopo aver trascorso la notte in una capanna.
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