(1734 - 1808)
Il secondo momento, invece, è confortato da documenti di pagamento[1] eseguiti dalla famiglia D'Adda al Piermarini [2]. L’abbinamento del barocco col neo-classico non è infrequente a Milano. Ne abbiamo esempi nel palazzo Cusani, probabilmente progettato dal settecentesco Ruggeri e nel palazzo Sormani-Andreani, con facciata esterna del Croce e l'altra neoclassica dell'Alfieri. Possiamo quindi dire che lo schema della villa Borromeo si ricollega alla tradizione lombarda del 600-700. L’intervento del Piermarini sulla villa di Cassano ha esigito una ristrutturazione generale evidente, pur non abbandonando i modelli proposti dal Ruggeri e dal Croce. Della tradizione tardo barocca riprese lo schema: la Piazza pubblica, la cancellata, la corte d'onore, la pianta a U, il giardino retrostante. Copia, dunque, lo stile delle ville barocche della Lombardia settecentesca: l'impianto ad U dell'edificio, proprio delle ville lombarde, comprende la grande corte d'onore, monumentale, legata al costume di vita del tempo: col viale circolare per le carrozze che arrivano al cancello, poi alla porta principale, portico coperto per consentire di scendere dalle carrozze ed evitare le intemperie, i raccordi nel cortile dove terminano le ali e incomincia il cancello in curva. Guardando la villa dal cancello d'ingresso balza la rigida simmetria che fu canone dei classici e che si conclude con "cannocchiale" prospettico collegante la corte di accesso, i saloni del piano terra e il giardino retrostante. Unico elemento mancante; il porticato, aperto sulla corte d'onore, che lui chiuse dando origine ad un salone ellittico, che volle ricordare all’esterno con il pronao a quattro colonne, sormontato dal balcone. È difficile dire quanto dell'edificio barocco è stato salvato dal Piermarini ma si può affermare che il corpo di fabbrica centrale è ancora il primitivo maschio barocco, mentre la modifica planivolumetrica piermariniana investe solo le ali formanti il cortile. Sono neo classici i due cortiletti adiacenti al maschio, ottenuti mediante lo svuotamento dei due corpi di fabbrica centrali a separare gli ambienti aulici da quelli di servizio. Il corpo centrale è a tre piani, più alto al centro, collegato con due corpi più bassi di due piani che presentano una rientranza con due cortiletti delimitati da portici aperti ad un solo piano. Alla facciata principale Piermarini ha dato una decisa impronta neoclassica con parti ben caratterizzate. Il piano terreno bugnato è ravvivato dal portico di accesso con quattro colonne, che poggiano su una semplice scalinata di cinque gradini che afferma l'asse di simmetria con lieve movimento circolare al centro. Lesene corinzie scandiscono le finestre evidenziate, al piano nobile, da elementi decorativi e vanno a sorreggere il balcone del primo piano con balaustra in pietra, ripresa nell'attico, arricchito da statue e stemma di famiglia. I due piani laterali al corpo centrale, a due piani, formano i due cortiletti simmetrici, delimitati da portici di raccordo agli edifici minori, separando così gli ambienti di rappresentanza da quelli di servizio (stanze della servitù, cucine, locali per le carrozze e stalle per gli animali) collocati nelle basse ali laterali limitati da porticato che finisce a balconata. Seguono le ali della villa, ad un piano, per i locali di servizio. Il quarto lato è chiuso da una cancellata sinusoidale in ferro con pilastri in muratura (da confrontarsi con quella di Cernusco sul Naviglio del Greppi del tardo 600 e inizio 700 rimaneggiata dal Piermarini) che inquadrano la fronte della villa con sobria eleganza. Il parco è all'italiana con rigida simmetria, chiuso da un cancello settecentesco decorato a tre anelli a ricordare uno dei tanti contrassegni araldici concesso dallo Sforza ai Borromeo; il cancello, poi, è sormontato dallo stemma dei Borromeo, aggiunto quando l'ultima erede dei D'Adda sposò un esponente di questa illustre famiglia lombarda, recando in dote la villa. La Villa è formata da 142 locali, compresi magazzini e scuderie. La sua superficie coperta supera i 5.000 mq. ed è circondata da un parco di 70.000 mq., ornato di viali di carpini e tigli secolari. Il palazzo in Cassano D'Adda, secondo il testamento di G. Battista del 20/2/1784, comprende l'appartamento di 8 stanze per il marchese, quello di 18 stanze per i figli, al piano superiore 13 stanze di servizio, locali per il personale, guardarobiere, falegname, e 9 stanze per l'agente.
Villa Borromeo - Facciata [1]
Non sappiamo l'anno in cui il
D'Adda si rivolge all'Imperial Regio Architetto ed Ispettore delle
fabbriche per la Lombardia. Da un manoscritto del Piermarini,
risulta che riceve dal D'Adda tra il 1772 e il I782 136 zecchini (un
acconto?) per il suo intervento a Cassano. Inoltre, in data 14
Ottobre 1781, Piermarini scrive, in un documento conservato a
Foligno, di aver ricevuto dal marchese D'Adda la somma di cento
zecchini per avviare i lavori di ristrutturazione della villa di
Cassano. [2]
Giuseppe Piermarini
(1734-1808) è di Foligno ed è matematico. La sua formazione non è
legata alla scuola architettonica lombarda. Studia, infatti, a Roma
gli edifici classici e il Borromini e si forma alla scuola di
Vanvitelli a Caserta che sta costruendo la reggia dei Borboni sul
modello ed in concorrenza emulativa alla reggia di Versailles,
diventando uno tra i più autorevoli rappresentanti del
neoclassicismo in Italia e, con Simone Cantoni,
l'inventore della Villa neo classica lombarda. G. Piermarini giunge poi a Milano nel 1769 assieme al suo maestro Vanvitelli, chiamato dal governo asburgico per trasformare l'antico palazzo ducale attiguo al Duomo e farne la residenza dell'arciduca Ferdinando, figlio di Maria Teresa d'Austria. Quando il progetto del Vanvitelli è abbandonato per economia, sottentra, dietro suggerimento del Vanvitelli stesso, il Piermarini nella progettazione del palazzo milanese e così, da quel momento, egli diventa il protagonista dell'architettura milanese col compito di attuare il piano politico degli Asburgo. Nella seconda metà del settecento, infatti, gli Asburgo attuano nello Stato di Milano un programma politico di accentramento del potere, a scapito delle autonomie locali, nel settore politico, economico, architettonico ed artistico in genere. E, se Maria Teresa lo realizza con modi blandi, ben più decisi sono Giuseppe II, succedutole nel 1780, e gli altri Asburgo. Il Piermarini, nominato nel 1770 "imperial regio architetto e
ispettore generale", diventa l’ architetto funzionale a
questo tipo di programma e diventa anche ingegnere pubblico, ossia
arciducale e camerale e ispettore generale delle fabbriche. Ha il
controllo ed il coordinamento degli edifici civili e religiosi per
il piano urbanistico da attuarsi nello Stato di Milano. Questo
controllo e coordinamento era fino a quel momento svolto dal
Collegio degli architetti ed ingegneri, che viene esautorato. Viene
istituita l'Accademia di Belle Arti di Brera voluta dagli Asburgo,
dove il Piermarini è professore e direttore. Questa accademia
diventa il luogo privilegiato di formazione degli architetti,
scultori, pittori, artigiani, mobilieri e decoratori dello Stato.
Come direttore, ha anche l'incarico di scegliere gli insegnanti, la
cui scelta viene fatta coi criteri del potere politico. Ebbe momenti di favore ed altri di
svalutazione. Secondo alcuni ha provocato una rottura
dell'architettura lombarda ed è ritenuto non sufficientemente
neoclassico perché gli manca il trionfalismo napoleonico che seguirà
col Cagnola, l’Antolini, ecc. Vive il momento di transizione. Come già detto, è il tempo della
demolizione di chiese e conventi soppressi per la creazione di aree
da destinarsi ai giardini pubblici. È il costruttore del palazzo ducale, ora
reale; della villa arciducale di Monza; del palazzo D'Adda a
Cassano, del palazzo Greppi finanziere e adatta edifici preesistenti
a sedi di istituzioni e uffici statali come il palazzo del Monte di
Pietà, del Monte di S. Teresa; realizza o risistema vari palazzi
privati (palazzo Bigli; palazzo Cubani e palazzo Belgioioso);
interviene nel palazzo di Brera con la sistemazione dell' Accademia
e della Biblioteca Teresiana. Il suo progetto più famoso rimane il
Teatro alla Scala (inaugurato il 3 Agosto 1778), capolavoro suo e
dell'architettura italiana neoclassica. Quando arriva Napoleone, il Piermarini è
abbandonato.
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