La storia della statua - San Giovanni Nepomuceno

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La storia della statua
di Maurizio Mandelli
In vista dell’imminente, finalmente, inizio dei lavori di restauro alla statua di San Giovanni, nella edizione 2023 della PaciAda avevamo riservato un quadro ad un’ipotetica storia della dedicazione del monumento.
Purtroppo le fonti disponibili per l’evento che ha occasionato la sua installazione sono molto scarse, per cui abbiamo voluto rimpolparle con alcune libertà artistiche. Il tutto però sempre basato su solidi indizi storici che vorremmo ora, con più calma e tempo, discutere in maniera più distesa e dettagliata, tenendo come filo conduttore il fantasioso colloquio tra il conte Harrach e il reverendo don Camillo Agosti.

Conte Harrach
 «Ha visto reverendo, ha visto la bella statua di san Giovanni che abbiamo appena inaugurato?»

Don Agosti
 «Sì l’ho vista conte von Harrach, l’ho vista. Certo che con quello che mi è costata pensavo fosse almeno un altro David di Michelangelo!»

Luogo: Cassano d’Adda sulla massicciata costruita dall’ing. Robecco per collegare i due nuovi ponti appena terminati quello in legno sull’Adda e quello in pietra sul Muzza.
Tempo: siamo nel 1750 e,  secondo il Milani,  la statua di San Giovanni  Nepomuceno venne posata, inaugurata e   benedetta al termine dei lavori sui due ponti.  Non sappiamo quando sia avvenuta la festa ma di sicuro prima del mese di settembre, mese in cui il conte Harrach lasciò Milano per tornare a Vienna. Ci piace pensare che si sia tenuta il 16 maggio, data della festa canonica di San Giovanni Nepomuceno nei paesi oltralpe, ma non abbiamo alcuna prova.
Nel prologo vengono presentati due dei protagonisti della nostra vicenda, il conte Ferdinand Bonaventura von Harrach, governatore dello stato di Milano e il reverendo don Camillo Agosti, sacerdote e agente della casa D’Adda, cioè all’epoca dei fatti del marchese di Pandino Febo, nonno del più celebre allievo del Parini e marchese di Cassano.
Il conte Ferdinand Bonaventura von Harrach II era il figlio cadetto di una prestigiosa famiglia austriaca e scelse quindi la carriera diplomatica in cui si distinse per numerosi incarichi prestigiosi e impegnativi che gli furono affidati da Maria Teresa d’Austria nel quadro della sua difficile successione al trono paterno. Fu, tra l’altro, governatore della Bassa Austria e del ducato di Milano, dove in soli tre anni cercò di risollevare lo stato dalle disgraziate conseguenze della guerra appena conclusa (circa 100 milioni di lire di debiti tra il 1740 e il 1747).

Conte Ferdinand Bonaventura von Harrach II

Indirettamente, la nostra vicenda conferma la sua alacre opera di risanamento e modernizzazione del ducato, perché sono sicuramente da ascrivere al suo governatorato la sostituzione del traghetto con il ponte in legno, e opere accessorie di consolidamento degli argini, e il nuovo ponte in vivo e cotto sul Muzza. Ma anche altri provvedimenti più drastici e severi, come vedremo in seguito. Alla morte del fratello maggiore nel 1750 venne investito della dignità comitale e fece ritorno a Vienna dove fu nominato presidente della corte di giustizia e presidente del consiglio aulico della corona, cariche che tenne con onore fino alla sua morte nel 1778.
Il reverendo Camillo Agosti è invece una figura alquanto sfuggente nelle cronache cassanesi. Nel decennio 1740-1750, il Milani lo cita soltanto una volta come sacerdote residente a Cassano d’Adda. La sua qualifica di agente di casa D’Adda ci suggerisce che quasi sicuramente non facesse parte del clero regolare del nostro borgo, ma fosse alle strette dipendenze del marchese di Pandino. Sappiamo di una nobile famiglia degli Agosti presente a Cremona ma non ci è stato possibile confermarne l’appartenenza del nostro sacerdote a questa famiglia.
La famiglia D’Adda era da circa duecento anni la più grande proprietaria terriera di Cassano, in particolare nel territorio al di là dell’Adda (poco meno di 8.000 pertiche) conosciuto come Cascine Franche poi divenute comune separato Cascine San Pietro per   espresso desiderio dei marchesi di   Pandino. Erano stati

investiti del feudo di Cassano nel 500 ma, dopo alterne vicende e la definitiva assegnazione del titolo ai duchi Bonelli che risiedevano a Roma, rivolsero il loro sguardo e il loro impegno altrove. Oltre alle terre sulla sinistra del fiume, che comprendevano anche la cascina Cantarana presso il traghetto, i D’Adda erano proprietari della magnifica tenuta cittadina detta della Cà Bianca di quasi 1300 pertiche. Questa proprietà si estendeva dalla Volta fino all’odierna via Vittorio Veneto, comprendeva la Cascina Magna, di antichissima origine e già possedimento ducale dei Visconti, e formò il fondo sul quale venne poi realizzato il grandioso palazzo D’Adda che oggi conosciamo come villa Borromeo. All’epoca dei fatti forse si stavano redigendo i progetti per la realizzazione del primo nucleo della villa che dovrebbe essersi conservato nel prospetto odierno verso il parco.

Conte Harrach
«Reverendo Agosti, si consideri fortunato ad aver pagato solo una multa. Il fatto era grave e avrebbe potuto avere conseguenze ben peggiori. Ma come vi è saltato in mente di far passare dei disertori dal ponte
Ed ecco il fatto che ci interessa, scrive il Milani all’anno 1750: ... della statua di S. Giov. Nepomuceno,

Stemma dei Marchesi D'Adda
che fu la penale cui furono condannati dal Sovrano il Rev. Sacerdote D. Camillo Agosti agente del Marchese D. Febo, e del sig. Pro. Arrigoni, appaltatore del pedaggio, che tratti dall’umanità ordinato avevano all’uomo di guardia, che lasciasse passare un soldato disertore. Viene introdotto un nuovo personaggio nella nostra storia che è Pietro Arrigoni, di cui sappiamo, sempre da fonte del don Milani, che era appaltatore del dazio sul ponte di Cassano e da altre fonti coeve che era un possidente terriero sempre nel nostro comune.
La notizia del don Milani ci ragguaglia positivamente sul momento in cui venne installata la statua in occasione dell’inaugurazione del nuovo ponte sull’Adda e i malcapitati patrocinatori, ma non ci dice nulla su quando fosse avvenuto l’evento causa della multa, né tantomeno il motivo del coinvolgimento dei due personaggi. Sappiamo con una discreta certezza che il ponte in legno sul Muzza aveva un portone verso il borgo e forse uno verso il porto che veniva chiuso di notte e alla bisogna in momenti di turbolenza.
Sulla base di queste poche informazioni abbiamo ipotizzato il seguente scenario:

Don Agosti
«... l’ho fatto solo per la buona pace e la sicurezza del paese. Quel giorno del dicembre del 1745 ero venuto a Cassano per certi affari della tenuta del marchese D’Adda detta della Cà Bianca, di cui io sono il ragioniere. Alla sera ero nella cucina della masseria quando udimmo degli spari e un vociare in paese. Un servitore mi venne a chiamare e nella corte c’era un soldato in divisa di sua maestà imperiale che teneva in ostaggio due ragazzi e sbraitava e urlava che se non gli facevamo attraversare il fiume avrebbe ammazzato i due giovanetti. Presi la situazione di petto, andai a svegliare il signor Pietro Arrigoni che aveva le chiavi delle porte sui ponti e lasciammo che quel povero disgraziato cercasse di raggiungere la sua casa chissà dove.»

Conte Harrach
«... era un disertore fuggito dopo la resa di Milano ai nemici francesi, andava fermato e consegnato alle autorità!»

Maria Teresa d'Austria
Nel corso della Guerra di successione austriaca, combattuta in tutta Europa tra il 1740 e il 1748, e che si concluse con la conferma del trono a Maria Teresa d’Austria, a costo di qualche concessione territoriale, il teatro italiano ebbe un ruolo alquanto marginale.
Ancora una volta, come nella guerra di successione spagnola che portò alla famosa battaglia del 1705, i franco-ispani coalizzati combatterono nel nord Italia contro gli austriaci e i piemontesi di Carlo Emanuele III di Savoia. La grande differenza con la prima guerra consisteva nel fatto che ora gli austriaci erano padroni dello Stato di Milano e i franco-ispani cercavano di conquistarlo per restituirlo a Filippo V di Spagna, Borbone discendente di Luigi XIV. Dopo qualche evento bellico isolato, come la battaglia di Velletri o la rivolta di Genova contro gli austriaci (quella del leggendario Balilla), i franco-ispani ottennero una significativa vittoria a Bassignana sul Tanaro (27 settembre 1745) che portò i vincitori ad occupare diverse piazzeforti padane e costrinse gli austriaci ad abbandonare Milano il 19 dicembre. Fu un’occupazione effimera e breve,  tanto che già il 19 marzo 1746 l’Infante di  Spagna don

Filippo dovette abbandonare la città e con la battaglia di Piacenza (16 giugno 1746) gli austro-piemontesi cacciarono i franco-ispani dai precedenti insediamenti, di fatto neutralizzando il teatro italiano per il resto della guerra.
In questa breve finestra temporale di tre mesi abbiamo pensato che molto probabilmente siano transitate da Cassano una buona parte delle truppe austriache in ritirata da Milano. Forse il disertore (o i disertori) di cui si parla era scappato appena prima o poco dopo la cacciata da Milano, oppure era uno sbandato che aveva perso i contatti con il proprio reparto durante il ripiegamento e stava cercando asili più sicuri, magari nel neutrale bergamasco. In un caso o nell’altro, in teatro di guerra questo comportamento era passibile di pene molto gravi fino all’impiccagione.


Ma perché mai due personaggi di una certa rilevanza avrebbero dovuto essere chiamati in causa per un fatto di così minore importanza? Don Milani ci tramanda che tratti dall’umanità ordinato avevano all’uomo di guardia, che lasciasse passare un soldato disertore”. Cerco di visualizzare la scena: don Agosti e l’Arrigoni sono lì bel belli che passeggiano sul ponte di legno del Muzza e assistono casualmente alla scena in cui la guardia non vuole lasciar passare il disertore. Intervengono e dicono alla guardia: “massì, lascialo passare, non ha fatto male a nessuno, che torni a casa sua!” No, le cose non funzionavano così nel ‘700. Con ogni probabilità si dovette svolgere un qualche tipo di commozione pubblica perché facesse intervenire l’appaltatore del pedaggio, non un suo dipendente, e il massimo rappresentante della famiglia D’Adda, forse casualmente presente nella masseria della Cà Bianca. È la concomitante partecipazione di questi due personaggi di primo piano che lascia un po’ perplessi sull’evasiva spiegazione del Milani.

Forse il soldato venne veramente fermato dalla guardia del ponte, probabilmente di notte quando il portone era chiuso, e sotto minaccia di essere riconsegnato alle autorità austriache diede in escandescenze e, armato, minacciò di commettere qualche pazzia. Su queste argomentazioni, genuinamente arbitrarie, abbiamo imbastito la scena dei giovani ostaggi e dell’intervento pacificatore di don Camillo Agosti che coinvolge obtorto collo Pietro Arrigoni, che doveva conoscere bene gestendo terre e persone di là dal ponte.
Questo è il racconto romanzato, molto plausibile in verità, che abbiamo utilizzato per il testo della PaciAda, ma il rigore scientifico e la coerenza documentale ci impongono di aggiungere una seconda ipotesi di lavoro.
Nei suoi annali, il Milani cita abbastanza regolarmente i sacerdoti presenti a Cassano nell’anno e al 1748 cita “don Camillo Agosti di Domenico di anni 46.” Suona come la presentazione di un nuovo personaggio che però poi scompare immediatamente. Ma i documenti, quando esistono, non possono e non devono essere passati sotto silenzio. Partendo dal dato di fatto che della presenza di don Camillo Agosti a Cassano abbiamo notizia nel solo anno 1748, dobbiamo ritenere che l’incidente deve esser obbligatoriamente capitato in quest’anno e non durante il periodo bellico come ipotizzato. Ma c’erano ancora soldati in giro per le nostre contrade in quell’anno? La risposta è tristemente positiva perché almeno per tre anni dopo la fine della guerra la Lombardia visse un periodo di grande incertezza e turbolenza sociale, dovuto in parte agli strascichi bellici ma soprattutto alla grave crisi economica che attanagliava lo Stato di Milano da un decennio. Il conte Harrach, appena insediatosi a Milano il 29 settembre 1747, emanò disposizioni draconiane per il ristabilimento dell’ordine: “La desolazione delle industrie e dei commerci è giunta all’estremo della decadenza, i filatoi ed i telai della lana e della seta rimangono inoperosi, le campagne pullulano di sbandati e di briganti che, ad estirparli, il conte di Harrach fa abbattere le boscaglie in vicinanza delle strade e manda a combatterli squadre di soldati accompagnati da un giudice e da un sacerdote, perché si faccia giustizia sommaria, a punizione ed a monito.” In questo quadro di desolata anarchia, il tentativo di uno sbandato di attraversare il ponte di Cassano assume una rilevanza non certo ipotetica e marginale. Lo spostamento di anno e di contesto storico non cambiano però le circostanze drammatiche che devono aver occasionato l’evento. Don Agosti e l’Arrigoni erano certamente a conoscenza delle disposizioni del governatore in materia di ordine pubblico e devono avere avuto gravi ragioni per rischiare l’accusa di alto tradimento. Per questo motivo riteniamo che il loro coinvolgimento volto a sedare una situazione potenzialmente molto pericolosa e a ristabilire l’ordine pubblico sia ancora l’ipotesi più plausibile.

Don Agosti
«... con il dovuto rispetto conte Harrach, le autorità di sua maestà imperiale erano già arrivate a Innsbruck, e io ho ritenuto fosse mio dovere principale mantenere l’ordine e la calma in un momento così difficile

Conte Harrach
«... sì reverendo questa attenuante vi è stata riconosciuta ed è il motivo per cui ve la siete cavata con una multa.»

In questo passo, per conferire un po’ di colore al nostro colloquio abbiamo francamente esagerato. Gli austriaci non erano scappati così lontano, ma si erano assestati in Geradadda, e il Milani ricorda che la cavalleria ungherese stazionava regolarmente dall’altra parte dell’Adda. Insomma, una piccola guerra di posizione con i due eserciti che si guardavano in cagnesco da una sponda all’altra dell’Adda, ma si guardavano bene dall’intervenire.
Questa situazione che avrebbe potuto portare incomodi e lutti al nostro borgo come in occasione di altri eventi bellici, fortunatamente si risolse molto velocemente tanto che il Milani annota che già il 19 marzo del 1746 le truppe spagnole che presidiavano Cassano a spese della comunità sono sostituite dalla cavalleria ungherese e lo stesso giorno Milano ritorna in mano austriaca.

Don Agosti
«... bella salata però. Anzi con tutte le svanziche che ho versato pensavo che la statua almeno almeno fosse di marmo di Carrara invece che di ceppo dell’Adda

Il malcapitato don Agosti dice, ahimè, il vero. La statua di San Giovanni è stata realizzata in ceppo dolce dell’Adda, materiale molto comune nel nostro territorio, facilmente lavorabile ma ugualmente deperibile. Delle condizioni in cui versava la statua e del lavoro di conservazione parlerà più avanti il restauratore Cagna, mentre dal punto di vista artistico l’opera, pur nella sua semplicità e in aderenza all’iconografia consolidata in decine e decine di rappresentazioni del santo, manifesta una ascetica e signorile eleganza. L’autore della statua, allo stato delle ricerche, purtroppo non è conosciuto. Alcune fonti locali segnalano che la statua venne modellata su quella del Dugnani presente nel Castello Sforzesco di Milano, ma la somiglianza è praticamente nulla e la tipologia iconografica di quest’ultima è del tipo con puttino che regge la palma del martirio, mentre quella di Cassano è del tipo del San Giovanni solo che guarda la croce.
 
Sul degrado del materiale mi preme ricordare come ormai da parecchio tempo sia quasi totalmente scomparsa la famosa iscrizione ricordata dal Milani e riportata da don Carlo nei suoi Quaderni del Portavoce:
 
 
Auspice S. Ioanne Nepomuceno
Pons Abduae impositus
Comodo pubblico
Ferdinando Bonaventura
Comite ab Harrach
Felicissime Insubres moderante
Anno Iubilei 1750

Reso in italiano con:
 
Patrocinante S. Giovanni Nepomuceno
A pubblica utilità
Sovrapponevasi all’Adda il ponte
Governando felicemente i Lombardi
 Ferdinando Bonaventura
 Conte d’Harrach
Nell’anno del Giubileo 1750

Dal testo dell’iscrizione risulta confermato che l’occasione per l’erezione della statua, indipendentemente da chi l’abbia pagata, fu il completamento del ponte sull’Adda e non la sostituzione del ponte di legno con quello in vivo del Muzza. Per maggiori ragguagli sulla storia dei ponti, non posso che rimandare alle pregevoli pubblicazioni dell’amico Francesco Testa.

San Giovanni Nepomuceno
Dell’iscrizione fisica, invece, si sono perse le tracce. Sin dalle più antiche rapresentazioni e fotografie non c’è indizio di scritte, anche labili, sul piedistallo del santo, tanto che ci erano venute in mente due possibili interpretazioni: forse la scritta era solo un cartello provvisorio messo lì per la celebrazione oppure che il pannello originale del piedistallo con l’iscrizione si fosse perso in uno degli incidenti a cui la statua andò soggetta. Per chiarire la situazione abbiamo effettuato un sopralluogo durante i lavori e il restauratore ci ha confermato, senza possibilità di equivoco, che i pezzi del basamento della statua erano tutti originali e la cosa era evidente anche ai non addetti ai lavori. E infatti, ispezionando con un po’ più di cura i quattro lati del sostegno, abbiamo ritrovato la scritta o almeno quello che ne resta: pochi segni incisi nella parte inferiore del pannello che guarda verso l’Adda, segno evidente che l’iscrizione era poco leggibile prima degli incidenti, forse già dal primo del 1900, altrimenti il pannello con l’iscrizione sarebbe stato rimesso al suo posto, cioè verso la strada.

Conte Harrach
«... non conta il materiale ma la bella rappresentazione di San Giovanni da Nepomuk, cioè Nepomuceno come dite voi in Italia.»

Don Agosti
«… ecco anche qui, sempre con la dovuta deferenza eccellenza, non è che Italia e in Lombardia manchino i santi. Dovevamo proprio portarne uno dalla Boemia?»

Ecco finalmente introdotto il personaggio principale della nostra vicenda, San Giovanni Nepomuceno o meglio svatý Jan Nepomucký nella nativa lingua boema. Giovanni era nato intorno al 1340 nella città di Pomuk, che solo un secolo dopo divenne Nepomuk, un grazioso borgo della Boemia occidentale non lontano da Plzen. Le notizie storiche della sua vita ce lo segnalano già nel 1370 come chierico dell’arcidiocesi di Praga, per diventare poi scrivano e notaio del vicario generale. Dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1380, completò gli studi giuridici prima presso l’università di Praga e successivamente nel prestigioso ateneo di Padova dove divenne doctor decretorum. Tornato a Praga fu nominato canonico di varie chiese a Praga per poi diventare nel 1390 arcidiacono della parrocchia di San Gallo a Zatec. Ma già a partire dal 1389 era stato creato vicario generale dell’arcidiocesi di Praga dal vescovo Jenstein, rigoroso e ascetico difensore delle prerogative della chiesa, che proprio in quel momento era alle prese con l’aperta ostilità del re Venceslao IV. E questa lotta tra potere religioso e temporale faceva presagire conseguenze nefaste.

Conte Harrach
«... ma certo reverendo Agosti. Lei conosce la bella storia del martirio di Johan von Nepomuk? Alla fine del ‘300 Giovanni era canonico della cattedrale di Praga e confessore della regina Giovanna di Baviera. Il re Venceslao IV sospettava che la regina lo tradisse e chiese a Giovanni di rivelare quanto da lei saputo in confessione. Dopo i ripetuti rifiuti di Giovanni, il re lo fece gettare incatenato dal ponte Carlo nella Moldava dove annegò. Divenuto santo viene universalmente invocato come protettore dalla furia dei fiumi e delle acque. Non è una bella storia degna di essere trasmessa e additata alla devozione del popolo?»
Statua di San Giovanni Nepomuceno sul ponte Carlo di Praga
Nella drammatizzazione proposta per la PaciAda abbiamo scelto una narrazione del martirio di San Giovanni diffusa da una tradizione posteriore e poi largamente accettata e ripetuta nei secoli successivi, quella cioè del confessore della regina Giovanna di Baveria, fatto annegare dal re Venceslao per non aver rivelato il nome del presunto amante della moglie ottenuto in confessione.
 
In realtà il suo martirio, perché di martirio comunque si tratta, scaturisce dallo scontro per le investiture in quel momento in atto in Boemia. La scintilla che scatenò il conflitto fu l’elezione del nuovo abate della potente abbazia benedettina di Kladruby. Il re Venceslao IV aveva chiesto al papa di sopprimere l’abbazia e smembrare la grande arcidiocesi di Praga creandone una nuova con sede proprio a Kladruby che avrebbe concesso a un suo prelato fedele. Ma dopo la morte del vecchio abate nel 1393, i monaci, come da regola, si riunirono ed elessero il nuovo abate Olen che venne coraggiosamente confermato da Giovanni nel suo ufficio di vicario generale.
 
Dopo pochi giorni Giovanni venne arrestato insieme ad altri tre religiosi e torturato, pare, personalmente dal re con una torcia e gettato nottetempo nella Moldava dal ponte di Carlo VI.
 

Don Agosti
«... eccellenza non ne dubito, ma mi lascia un po’ perplesso la difficoltà del nome che per il popolo italiano sarà sempre complicato.»

Conte Harrach
«... suvvia mio caro reverendo, non pensi sempre male. Guardi, guardi che bella posa maestosa e protettiva del borgo e del fiume. E vede quelle cinque stelle sul suo capo? Si racconta che a Praga sulla Moldava per qualche tempo di notte sorgevano cinque stelle ad illuminare il punto esatto dove venne precipitato in acqua. Sono sicuro che i buoni cassanesi sapranno apprezzare la bellezza della statua e metteranno d’ora in poi tra i santi protettori del borgo San Giovanni Nepomuceno!»

Nei secoli successivi la popolarità di san Giovanni Nepomuceno andò gradualmente aumentando con la stessa misura in cui si espandeva la potenza degli Asburgo che erano imperatori del Sacro Romano Impero, granduchi d’Austria, re d’Ungheria e Re di Boemia dal 1526. Nonostante fin da subito venisse riconosciuto come martire, le condizioni religiose precarie della Boemia con il dilagare delle guerre Hussite, la riforma protestante e la vacanza della sede arcivescovile di Praga, impedirono praticamente la diffusione del suo culto e perfino la sua canonizzazione. La sua popolarità riprese grande slancio con la controriforma, in quanto la sua figura esemplare di sacerdote pronto a dare la vita per custodire il segreto sacramentale serviva egregiamente alla propaganda contro i protestanti. La sua canonizzazione avvenne a San Giovanni in Laterano il 19 marzo del 1729 da parte di Benedetto XIII che, seguendo la tradizione più tarda ma assai diffusa, lo additava come martire del sigillo della confessione. Oltre che dei confessori, San Giovanni Nepomuceno fu riconosciuto come protettore contro le inondazioni e per questo l’Europa centro-orientale si riempì di statue a lui dedicate, compresa l’Italia austriaca e il Tirolo, ma anche sul ponte Milvio a Roma.
Ecco trovata la risposta alla domanda di don Camillo Agosti del perché San Giovanni Nepomuceno: santo recente con una popolarità in rapida espansione, rigorosamente cattolico, legato alle vicende di casa Asburgo e protettore contro le inondazioni.
Soggetto perfetto per il Felicissime Insubres moderante.

Sull’iconografia del santo rimandiamo alla sezione appositamente dedicata più avanti, ma vogliamo sottolineare un’anomalia che ci ha tratto in errore nel testo della PaciAda.
Una leggenda tardiva raccontava che per molte settimane dopo il martirio, di notte sorgessero sulla Moldava cinque stelle a segnalare il punto esatto in cui venne gettato nelle acque e per questo motivo, a volte il santo veniva rappresentato con una corona di cinque stelle.
Basandoci su queste notizie consolidate abbiamo scritto il testo, non accorgendoci che il nostro san Giovanni sfoggia una corona con sette stelle. Come è successo? Non posso pensare ad un errore del genere commesso sotto il governo austriaco, quindi potrebbe trattarsi di un elemento successivo aggiunto a posteriori.
A corroborare questa ipotesi, la foto più antica pervenutaci, quella del 1900, ritrae un santo senza aureola, come in molte altre statue in giro per il mondo.

Don Agosti
«... avrete sicuramente ragione voi signor conte, ma mi sa che per i cassanesi sarà sempre San Giuan ne poe ne menu! Riverisco e vi saluto signor conte.»

La salace risposta di don Camillo Agosti poco si addice alla tradizionale riservatezza e rispetto dei cassanesi per cose sacre.
Per i non indigeni traduciamo la frase, il cui senso è comunque abbastanza intuitivo: giocando sulla fonetica di Nepomuceno, effettivamente un po’ difficile per i nostri maggiori che parlavano solo il dialetto, si storpiava in né poe né menu, cioè né più né meno.
Francamente nella parlata dell’ultimo cinquantennio è una battuta che non si è mai sentita, ma ringraziamo comunque don Carlo che ce l’ha tramandata per avere aggiunto una nota simpatica e ironica, così concedendoci il gancio per una chiusa spiritosa alla vicenda del San Giovanni.

                                                                            Maurizio Mandelli
                                                                   Giugno 2024


Bibliotheca Sanctorum
Città Nuova Editrice. Roma 1966, pp 847 e segg.
Cassano d’Adda e il 1859. M. Mandelli - F. Testa.
Annali di Cassano - Cronologia del Settecento.
Quaderni del Portavoce n°. 29, Carlo Valli.
Un Borgo e la sua gente, volume III, Carlo Valli.
Storia di Milano - Fondazione Treccani, vol. XII.
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