Altre opere della chiesa parrocchiale di Cassano d'Adda
La pala dell’Assunta
Sopra il portale principale della chiesa parrocchiale, sulla facciata interna, c’è la tela, opera del primo ventennio settecentesco. È olio su tela delle dimensioni 320x180.
Ha avuto un primo restauro gravemente pesante negli anni 1940 ed ancora nel 1994 da Giuliano Costa. Attribuibile a Filippo Abbiati (Milano 1640-1715) nel suo ultimo modo di lavorare, oppure Lanzani.
L’opera è ricca di grazia e leggerezza e modellata con colori delicati. Al centro è la Vergine sollevata da Angeli che in circolo sostengono la figura aerea. Sopra l’immagine della vergine, in un cielo tenerissimo, è rappresentata la SS. Trinità.
L'ultima cena
Olio su tela cm 327 x 192.
Opera seicentesca di bella composizione, recuperata dalla soffitta e restaurata da Marcello Bonomi nel 1964. La parte centrale è rifatta.
La tela da riferirsi ad artista lombardo, eseguita tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, presenta vasti rifacimenti che ne impediscono una corretta lettura pur palesando una scenografica impostazione corale di sicura intensità che dalle analoghe soluzioni cinquecentesche si approssima agli esiti di autori lombardi, primo tra tutti Antonio Cifrondi (Clusone 1656 - Brescia 1730). Per il poco che il pessimo stato di conservazione della composizione permette di considerare, sembra comunque interessante la minimalista imbandigione che la tavola propone, quasi una natura morta autonoma all’interno della scena.
Deposizione di Cristo morto
olio su tela cm 152 x 134.
L’opera sembra da assegnarsi ad ignoto pittore che ripropone lavori tardo cinquecenteschi di matrice lombardo-veneta. Infatti, le accensioni cromatiche della composizione mostrano un attento studio dei risultati dei grandi protagonisti operanti in terra lombarda, da Giovanni Gerolamo Savoldo (Brescia, 1480-Venezia, post 1548), a Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 circa, Loreto 1556), a Girolamo Romani detto il Romanino (Brescia, 1484/87 - 1560 circa) fino al Palma il Giovane (Venezia, 1544-1628) le cui invenzioni formali sono qui riprodotte in un linguaggio più provinciale e meno incisivo. La resa del corpo di Cristo, avvolto in un candido sudario dalle morbide pieghe, ad evidenziare il livore dell’epidermide, abbandonato tra le salde braccia di Giuseppe d’Arimatea, riscatta l’ingenuità di certe soluzioni spaziali o la resa dei particolari non perfettamente sviluppati. E, comunque, la composizione è accattivante per il senso di corale dolore che propone pur nella differenziazione emotiva segnata sul volto di ciascun protagonista: la mestizia di Giuseppe, il dolore di San Giovanni, lo sgomento della Maddalena fino all’angoscia della Madonna.
Sosta della Santa Famiglia che fugge in Egitto
olio su tela, cm 123 x 172.
Il dipinto, di autore ancora ignoto nonostante le iniziali I.M.I. e la datazione 1692, è una copia e ricalca l’impianto figurativo, il quadro che Federico Barocci (1562-1612) realizzò e attualmente si conserva nella Pinacoteca Vaticana in Roma. Pur venendo riproposta la lezione artistica di un autore famoso discepolo di Raffaello e Michelangelo e ancor più il Correggio, ricopiatissimo nel Seicento perché divenne di grande moda, iniziatore del barocco, sembra eseguito da pittore fiammingo, data la ricerca dei particolari e certa durezza nelle vesti e panneggi delle figure.
Diversi particolari distanziano la nostra tela da quella che è stata ripensata: i colori soprattutto della veste della Madonna, lo sguardo del Bambino rivolto alle ciliegie invece che al volto di S. Giuseppe, il volto della Madonna colto di più di facciata che di profilo, lo sfondo panoramico, il cesto di indumenti sul fondo di sinistra dell’osservatore.
San Giuseppe compie il gesto dinamico e vigoroso di staccare dall’albero di ciliegio i frutti e di porli al Bambino, nella cui mano campeggiano rosseggianti. Il colore rosso delle ciliegie rimanda al sangue versato da Cristo sulla croce, alludendo alla futura passione di Gesù. Maria sta attingendo acqua per accompagnare il frugale pasto: sulla sinistra in basso, un involto di stoffa racchiude una grande forma di pane. Elementi importantissimi che rimandano il Sacrificio Eucaristico. Anche l’asino riposa e sembra partecipare a questo momento di serenità, di tregua dai dolori del mondo.
Questo, non correttamente incorniciato, ha richiesto l’allargamento della cornice e l’intervento del restauratore Ambrogio Geroldi di Crema.
Restaurato da Ambrogio Geroldi restauratore nel 1996.
Il sogno di S. Giuseppe
olio su tela cm 85 x 100.
Opera ottocentesca alquanto originale, sia per la buona qualità cromatica delle tonalità azzurro-gialla che ben rendono il clima intimista del quadro, sia per la rappresentazione di san Giuseppe come un giovane vigoroso, simile nel volto all’iconografia del Cristo con capelli lunghi ed accenno di barba e lontano dalla consueta rappresentazione del Santo come un vecchio canuto e rassicurante. L’autore si è ispirato alla storia di Giuseppe il falegname, un testo apocrifo pervenutoci in copto e arabo, databile al 500 d.C. e rappresenta il momento in cui l’Arcangelo Gabriele appare in sogno a Giuseppe e lo rassicura dicendo: “Giuseppe, figlio di David, non temere di prendere Maria tua sposa. Ha concepito infatti dallo Spirito Santo e partorirà un figlio che sarà chiamato Gesù”.
Estasi di S. Teresa d'Avila
olio su tela cm 95 x 116.
Già catalogata tra i beni della Confraternita del SS. Sacramento nel 1768, la tela sembrerebbe, secondo i documenti conservati nell’archivio parrocchiale, la stessa offerta dal Martinengo alla parrocchia nel 1694.
L’interpretazione del noto soggetto, esasperatamente languida ed enfatizzata, riconduce la composizione agli schemi lombardi desunti da Francesco Cairo (Milano, 1607-1665). Il soggetto e il velo della santa, resi con morbide pennellate liquide, il volto dai lineamenti regolari, le delicate mani dall’epidermide porcellanosa, gli scabri riferimenti spaziali, datano l’opera non prima del XVII secolo, al momento della possibile donazione, anche se la resa della corona luminosa che circonda il capo della santa sembrerebbe posticipare la datazione. La tela è ben conservata.
La Sacra Famiglia
olio su tela cm 122 x 171.
Nella dottrina cristiana la Sacra Famiglia è sempre stata ritenuta un modello fondamentale per tutte le famiglie. I legami di affetto, di amore, di comprensione e dialogo che le famiglie umane sono chiamate a rinnovare continuamente, sono particolarmente espressi in questo dipinto del primo 900, ove un Gesù ragazzetto, discute con la madre Maria e quasi per rassicurarla, cerca il contatto con la sua mano. La Madonna sembra ascoltarlo attentamente e sulla destra San Giuseppe è sia testimone che protettore di Maria e di Gesù. Dopo la morte di Erode, la Sacra Famiglia ritornò in Galilea e si stabilì a Nazareth e, come dice il vangelo, il Bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la Grazia di Dio era sopra di lui.
L’artista sembra proprio soffermarsi su un Gesù dodicenne che istruisce lui stesso i genitori in un’atmosfera prevalsa di quotidianità e serenità. A Maria, sostenuta sempre da Giuseppe, toccò allevare il Divin Bambino con tutte le premure di una madre normale ma nel cuore la grande responsabilità per il compito affidatole da Dio e la pena per quanto le aveva profetizzato il vecchio Simeone durante la presentazione al Tempio: “Una spada ti trafiggerà il cuore”.
Opera di un Bazzi cassanese. Composizione dei primi del Novecento, molto luminosa, pulita, dignitosa senza essere un capolavoro.
San Giuseppe con Gesù Bambino e il giglio
olio su tela cm 92 x 122.
È una seconda rappresentazione dello stesso soggetto. In cornice originale c’è la composta in tela ottocentesca in tondo di ignoto autore.
Questa opera rappresenta un giovane e dolcissimo Giuseppe con lo sguardo rivolto al cielo, mentre amorevolmente tiene in braccio Gesù che ci guarda e sembra interrogarci. In quest’opera il fiore del giglio è più che mai simbolo di purezza e la storia di questo fiore è profondamente legata alla religione cristiana perché la tradizione narra, attraverso alcuni vangeli apocrifi, che la Madonna abbia scelto Giuseppe come sposo notandolo tra la folla proprio per il giglio che teneva in mano. Molte sono quindi le rappresentazioni sacre come questa, con il bastone di San Giuseppe, ovvero con San Giuseppe che tiene in mano un lungo ramoscello dal quale sbocciano dei gigli bianchi. L’artista ha vestito Giuseppe con il saio francescano, originando così la possibilità che si tratti di S. Antonio da Padova con Gesù bambino e giglio.
Madonna col Bambino, San Giuseppe e San Giovannino
olio su tela cm 64 x 84.
Trattasi di un’opera di fine Settecento appartenente al genere “intimistico familiare” ma se si osserva la composizione, il dipinto ci riserva delle sorprese. Al centro campeggia la figura della Madonna seduta che accoglie tra le braccia un robusto Bambino Gesù, biondo e paffuto come un putto, ma il Divin Bambino tiene tra le mani tese un cartiglio che, quasi involontariamente, diventa il fulcro della composizione con la scritta “Ecce Homo” “Ecco l’uomo” ed è l’espressione con la quale nel Vangelo di Giovanni (19,5) Pilato presenta alla folla il Cristo flagellato e coronato di spine.
Il Bambino regge il cartiglio aiutato da San Giovannino, il Precursore; la testa di Gesù sembra rivolta verso lo spettatore ma, di scorcio, lo sguardo cade su San Giovanni dipinto in monocromo e leggermente rischiarato sul volto dalla luce che emanano Maria e Gesù. Alle spalle del gruppo e in monocromo appare San Giuseppe nella sua funzione di testimone e protettore. Tutta la scena è pervasa da una serena mestizia ma il lieve gesto di Maria pensosa che con la mano regge il suo dolce viso, è presagio di tristi pensieri riguardo il destino dei due fanciulli.